Gli sdraiati

Sdraiati e popolari

Gli sdraiati

Nel suo spassoso e nel contempo sociologicamente acuto libro, Gli sdraiati, Michele Serra descrive bene l’idolatria di sé officiata da molti giovani, riassunta nell’unico comandamento “Tutto quello che conta è Io”.

Questa asserzione autocelebrativa, tuttavia, spesso non è sostenuta da un robusto piedistallo di self-confidence, ma poggia sul terreno friabile dello specchio del gruppo. Basta un commento acido postato sul social per minare seriamente quell’autostima che sembrava incrollabile.

Attraverso il consumo televisivo, abbiamo importato non solo Halloween dagli Stati Uniti, ma anche gesti, atteggiamenti e categorie mentali. La divisione della popolazione scolastica in popular e loser è una stupida dicotomia che sta facendo breccia anche qui, anche se in maniera più sottile, e la cassa di risonanza del Web rende un commento, un’offesa, una presa in giro talmente umilianti da spingere molti, troppi, teenager al suicidio.

La misura del proprio valore è appesa alla capacità di cogliere e mutuare ciò che è considerato cool al momento, dall’indumento all’accessorio, dall’intercalare all’atteggiamento.

Quindi mentre da un lato, come ben descrive Serra, tanti ragazzi (non tutti, per fortuna) paiono vivere nel più totale disinteresse per tutto ciò che è altro da loro, nell’unica preoccupazione di uniformarsi al prototipo di popular in voga, dall’altro allargano immensamente l’orizzonte della propria fragilità, perché non è poi così facile essere sempre “giusti”, ci vuole in primo luogo il denaro (e se non basta la paghetta, ogni mezzo è buono…) per acquistare vestiario, smartphone, ricariche, e, in secondo luogo, tempo, per curare la propria immagine sociale in Rete e non essere tagliati fuori dal gruppo di riferimento.