Il diritto di espressione è sacrosanto, ma forse varrebbe la pena di interrogarsi sulla necessità di esercitarlo quando non vi sia nulla da dire. A sfogliare le pagine dei social network si vede come, invece, tutti sentano quest’impellenza a comunicare, questa coazione ad esprimersi che denota, secondo me, un’eccessiva idea di se stessi.
Scrivere un post solo per dire qualcosa come “mi prude un orecchio” o “mi torna su l’AvanaCola di ieri sera” e diffonderlo orgogliosamente nel mondo neanche fosse la Lieta Novella è un tantino egocentrico. Ancor più sorprendente – per chi come me non è un nativo digitale e proviene da un’epoca in cui la modestia faceva parte della buona educazione – il fatto che non solo non vi sia alcun pudore nell’esternare dettagli irrilevanti sulla propria persona, ma che, anzi, questi vengano commentati e contraccambiati con altre notizie dello stesso spessore.
Un conto è commentare con la cerchia degli amici intimi le prodezze alcoliche della sera precedente, un altro pubblicare su di una pagina visibile al mondo intero i conseguenti disturbi all’apparato digerente.
Forse la spiegazione risiede proprio nell’annullamento della percezione, all’interno del Web, dei diversi gradi di prossimità con le altre persone. Mentre nei rapporti personali “tradizionali” distinguiamo tra familiari, amici stretti, colleghi, conoscenti, eccetera, e moduliamo linguaggio, comportamento e contenuti comunicativi a seconda del tipo di relazione, nei social network il nostro virtuale pubblico tende ad essere vissuto come un’indistinta massa di amici.
Il secondo grosso blocco di post che vengono diffusi urbi et orbi è quello delle citazioni. Tutti questi che tirano fuori aforismi arguti, versi alati e frasi profonde, saltando sul carro di gloria dell’autore famoso, se invece di Wikipedia & Co. avessero a disposizione solo i vecchi libri stampati, sicuramente, dovendo leggere per cercare, non si darebbero tanto da fare per snocciolare pillole di saggezza a buon mercato.
Ultimo arrivo sulla scena del “I, Me and Myself”, la Selfie, decretata nel 2013 parola dell’anno dall’Oxford Dictionary, cioè l’autoscatto eseguito a braccio teso con lo smartphone e poi postato in Rete. La moda, che arriva dopo quella, non ancora esaurita, di fotografare ciò che si sta mangiando, sottolinea nella maniera più evidente l’utilizzo dei social come luogo di autocelebrazione, dove esibizionisti guardoni si scambiano futile testimonianza del loro essere al mondo.